OLTREMARE
Sono ormai assai numerosi gli studi che hanno affrontato i diversi problemi connessi con l'attività degli architetti italiani nei territori d'oltremare. Tra tutti, basterebbe ricordare quelli avviati in occasione della famosa mostra curata, tra gli altri, da Giuliano Gresleri nel '94, oppure la pubblicazione "Amate sponde ..." ove, due anni prima, Attilio Petruccioli raccoglieva una serie di interessanti riflessioni sul tema della presenza dell'architettura italiana nelle aree del "Mediterraneo islamico", cui si affiancò, nello stesso anno il numero 51 di "Rassegna" intitolato all'Architettura nelle colonie italiane in Africa , che della mostra bolognese fungeva da preludio e anticipazione. Tutti contributi di alto profilo scientifico che portavano finalmente luce con abbondanza di documentazione spesso inedita su uno dei capitoli più interessanti, ma anche, fino ad allora, meno indagati della vicenda architettonica italiana del Novecento. Una pesante ipoteca ideologica gravava infatti sull'argomento che non era agevole districare dalle sue complesse, più e meno palesi e sottointese implicazioni politiche, propagandistiche e culturali. Oggi, che sulla specifica tematica si sono aggiunte riflessioni ulteriori e che il tema appare fortunatamente e definitivamente liberato dalle aporie più contingenti, ci piace quindi ritornare ancora sull'argomento che rappresenta, nel suo insieme e nel dettaglio dei singoli eventi progettuali, un territorio tanto vasto quanto affascinante di esperienze e di realizzazioni, in più di un caso, straordinariamente dense di stimoli, di occasioni e di tematiche di più pacata riflessione.
Il pretesto ci è qui offerto dalla interessantissima serie di immagini raccolte dal vivo da Donata Pizzi durante una serie di recenti e talvolta ardimentosi sopralluoghi che le hanno consentito di conoscere e di farci conoscere, e per la prima volta, finalmente, di prima mano, la più esatta dimensione, qualità e consistenza del fenomeno così come si è trasmesso, materialmente e in forme e condizioni differenti, tra luogo e luogo, fino ai giorni nostri.
La mostra fotografica e il relativo catalogo sono quindi dedicati ad alcune opere più e meno note di architetti italiani costruite nei territori africani d'oltremare nel periodo tra le due guerre nell'intenzione di documentare quanto ancora resta di un'esperienza che ci era stata fin qui trasmessa solo attraverso documenti e immagini risalenti all'epoca della loro prima, spesso accelerata e, tante volte, interrotta realizzazione.
Come testimoniato dal successo delle recenti mostre "SABAUDIA 1934, il sogno di una città nuova e l'architettura razionalista " e "Angiolo Mazzoni, architetto futurista in agro pontino " negli ultimi anni il dibattito sull'architettura italiana del Novecento ha toccato anche il pubblico dei non specialisti dimostrando tutta l'attualità e l'interesse del tema.
In continuità con tali recenti esperienze ci piace affrontare anche il capitolo relativo alle colonie italiane d'oltremare che costituisce, come è noto, un ulteriore e fondamentale aspetto di quella vicenda sulla quale risulta peraltro ancora opportuno qualche ulteriore e non marginale approfondimento storiografico, critico e documentario.
Questa mostra intende pertanto dare un contributo originale e di prima mano relativamente alle tematiche citate attraverso la documentazione fotografica, dal vivo, di una serie di importanti opere conservatesi fin qui e delle quali, in molti casi per la prima volta in assoluto, si rende conto in forma fotografica, con gli occhi di oggi.
I territori della Libia, dell'Etiopia e dell'Eritrea sono stati infatti percorsi e indagati dall'autrice alla ricerca di un filo logico capace di connetterne attraverso la sintesi fotografica il senso della loro più vitale e vivace attualità culturale.
Luoghi centrali dell'esperienza italiana in Africa come Tripoli, Bengasi, Cirene, Addis Abeba, Asmara, Gondar, e tanti altri centri, dimensionalmente più ridotti, ma non per questo meno interessanti, sono stati, per questa specifica occasione, puntualmente rivisitati alla ricerca delle tracce ancora fortemente connotate e significative dell'architettura italiana della prima metà del ventesimo secolo. Tutte tracce che si collegano, in profondità, sia con il dibattito sull'architettura italiana contemporanea, sia con l'esperienza, per certi versi analoga, delle "città nuove" realizzate, negli stessi anni, in diverse regioni nostro paese.
Un patrimonio di esperienze oggi ancora appena conosciuto dagli specialisti, già oggetto e strumento di fortissima propaganda all'epoca, della sua realizzazione, ricchissimo di sollecitazioni e di stimoli e che ancora sorprende per la qualità intrinseca di non pochi manufatti esemplari; un patrimonio articolato e denso di interventi: scuole, mercati, villaggi, edifici sportivi, palazzi, banche, edifici pubblici, chiese, moschee, abitazioni e strade che, non solo, si è fin qui conservato, fortunosamente sopravvissuto al tempo, e agli eventi, ma che è anche, in più di un caso, diventato patrimonio collettivo delle popolazioni locali che lo vivono talvolta ancora attivamente e adeguandolo, spesso, alle nuove funzioni. Un patrimonio che potrebbe e dovrebbe poter trovare ulteriori momenti di valorizzazione e di più adeguata conservazione che oggi, attraverso questa mostra, ci è consentito di "vedere" e quindi di leggere, di apprezzare e di giudicare, con occhi nuovi, come mai era accaduto fin qui.
In particolar modo, la ricerca si è concentrata sulle opere degli architetti italiani realizzate tra gli anni Venti e i primi anni Quaranta in Libia, Etiopia ed Eritrea, indagando su una delle fasi più complesse e articolate, di più intensa attività costruttiva e di più vivace sperimentazione progettuale, fortemente connessa con il dibattito specifico di quella particolarissima temperie culturale.
La diffusa qualità delle opere illustrate conferma poi il valore e l'utilità di questa ricerca che ci propone una riflessione ancora necessaria su uno degli aspetti meno indagati dell'architettura del novecento italiano in ambito mediterraneo e coloniale.
Emergono così le tracce e i simboli, i monumenti e i ruderi, le icone e i relitti di un passato che si è tornati recentemente ad indagare (basti pensare, per esempio e se non altro, ai recenti straordinari saggi di Antonio Pennacchi intitolati alle "Città del Duce" e pubblicati da "Limes"), con occhi diversi e non compromessi e capaci quindi di produrre ulteriori sviluppi critici, estetici ed emozionali.
In particolare ci piace qui ricordare il senso più generale di un'esperienza che, decantatasi nel tempo attraverso fasi evolutive e di sviluppo assai diversificate nelle situazioni e nel tempo, si offre oggi in tutta la sua composita complessità allo sguardo e alla lettura critica capaci di reinterpretarne valori e significati tanto spesso dissimulati e altrettanto spesso malintesi.
Non è certo questa l'occasione per ripercorrere nel dettaglio delle specifiche realizzazioni edilizie e dei singoli progettisti architetti il complesso dell'esperienza italiana nelle diverse regioni africane; quello che ci preme è se mai il desiderio di sottolineare la straordinaria vitalità di quell'esperienza spesso segnata dall'entusiasmo genuino e vitale verso le possibilità di una sperimentazione di modi e di linguaggi altrove e altrimenti difficilmente riscontrabile.
Futurismo e Novecento, regionalismo, razionalismo, esotismo e realismo si contaminano e si sovrappongono più volte così come era avvenuto e continuava ad avvenire nei territori "redenti" della Romagna e della Puglia, del Tavoliere e della Nurra, del Sulcis e dell'Istria, del latifondo siciliano e dell'agro pontino.
Tanto spesso si è infatti sottolineata la dimensione para-coloniale delle esperienze di bonifica e di colonizzazione nei territori metropolitani che non ci si meraviglia magari di trovare un quadro aereofuturista di Tato che immortala la inaugurazione della più piacentiniana e razional-futurista insieme delle città-nuove: Sabaudia e, di lì a poco, di quello stesso autore la straordinaria copertina archeologico-costruttivista del primo numero di "Libia". Come potrebbe appartenere ad una qualsiasi visita ad una qualsiasi famiglia di coloni veneti o ferraresi di qualsivoglia regione italiana la descrizione dell'anonimo articolista che su quelle stesse pagine, nel settembre del '37, ricorda che: "A cento chilometri da ... e a dieci da ... sta sorgendo, e di giorno in giorno ampliandosi il villaggio agricolo di ... .Il villaggio ha già le scuole, le abitazioni per gli insegnanti, l'ambulatorio e la chiesa in costruzione, e presto avrà tutti gli altri edifici pubblici. ... Siamo entrati in una di quelle nuovisssime casette coloniche e, nell'entrare, abbiamo dimenticato di essere in Africa, perché dentro vi si respirava un'aria delle nostre terre, quell'aria composta dell'odor di madia, e di frutta appese, attorno alla tavola ampia e solida, la famiglia del colono stava mangiando. Lui è un giovane bruciato dal sole e la sua donna è alta, ben tagliata, dal viso intelligente. ... I figli ci guardano un po' meravigliati, son tre maschietti e una bimbetta bionda, la più piccola ... Mi venne fatto di pensare a quando quella bimbetta sarà una ragazza da marito ... e come allora il villaggio sarà fiorente, pieno di vita e di mercati. Le case avranno assorbito dal tempo quella tinta particolare, che fa le cose inanimate partecipi della nostra vita e della nostra piccola storia. E gli anni della fondazione sembreranno lontani come un bel ricordo".
Gli anni della fondazione sono oggi ben lontani, nel tempo e soprattutto nella storia, quella "piccola" e quella "grande", quella "bimbetta" sarà cresciuta e se, per un caso fortuito che ci piace immaginare, avrà la ventura di sfogliare le pagine di questo catalogo ritroverà la sua casa e le scorreranno sotto agli occhi, in un baleno, i decenni passati. La sua casa è lì, pressoché intatta, riconoscibile, cristallo nella sabbia del deserto, rudere precoce di un sogno folle, relitto pietrificato di un'avventura che teneva insieme frammenti di modernità e di nostalgia, di avanguardia e di tradizione, di cinismo e di entusiasmo, di impegno e di affari, di rischio e di opportunismo, di avventura e di disincanto, di eroismo e di disperazione.
Scorrendo queste immagini ritroviamo infiniti e sparsi i luoghi di un discorso sull'architettura cui dettero senso e sostanza alcuni degli architetti più significativi del loro tempo. Ritroviamo e riconosciamo, non sempre senza sforzo, i lineamenti e i frammenti di un pensiero che si è fatto architettura e che ci rappresenta le linee diversamente intrecciate, sovrapposte e interrotte di un dialogo tra storia e luoghi, tra significati e valori anche contrapposti, ma che insieme confluiscono nella definizione di un paesaggio culturale spesso struggente e comunque suggestivo.
Un itinerario della memoria ove accanto ai nomi dei cosiddetti accademici troviamo quelli dei cosiddetti moderni, ove accanto ai più sperimentati e disinvolti professionisti, scopriamo giovanissimi alle prime armi per i quali ogni progetto diventa esperimento e sfida. Alberto Alpago Novello, Ottavio Cabiati, Cesare Bazzani, Armando Brasini, Florestano Di Fausto, Guido Ferrazza, Plinio Marconi, Cesare Valle, Gerardo Bosio, Alessandro Limongelli, Giovanni Pellegrini, Luigi Piccinato, Umberto Di Segni, Carlo Enrico Rava, sono i nomi che più spesso ricorrono e che hanno dato forma e sostanza ad architetture talvolta straordinarie ove la loro relativa marginalità rispetto ai luoghi centrali della scuola e della professione consente loro, in più di un'occasione, di aderire senza infingimenti e mediazioni ai significati di una variegata modernità ove all'idea di progetto fa seguito con naturale immediatezza il concreto esito edilizio. Ne deriva una pluralità di immagini e di eventi edilizi ove la sperimentazione continua dei tipi, dei modelli e dei linguaggi consente di leggere, qui assai più che altrove nella madre patria, la vitalità di più generazioni di architetti a confronto, dialetticamente impegnate a dare sostanza ad un'idea di modernizzazione istituzionale del fare adilizio di cui le tracce che mostriamo confermano il senso e il valore.
Sembra realizzarsi il sogno di Marcello Piacentini che in "Architettura d'oggi" profetizzava:" Io vedo la nostra architettura contemporanea inquadrata in una grande compostezza e in una perfetta misura. Accetterà le proporzioni nuove consentite dai nuovi materiali, ma sempre subordinandole alla divina armonia che è la essenza di tutte le nostre arti e del nostro spirito. Accetterà, sempre più, la rinunzia alle vuote formule e alle incolori ripetizioni, la assoluta semplicità e sincerità delle forme, ma non potrà sempre ripudiare per partito preso la carezza di una decorazione opportuna. Gli sforzi delle varie regioni dovranno incanalarsi su un'unica via, e gli architetti affiatarsi maggiormente per giungere alla creazione di un'arte moderna nazionale. Forze riposte si palesano ovunque e non appare lontano il giorno della grande rivelazione, già potentemente preparata. Io penso infine che questa nostra fatica non dovrà fermarsi alla creazione di un'architettura nazionale."
Aggirandoci per le rovine da poco disvelate di un antico avamposto romano o addentrandoci nei territori di più recente colonizzazione nei villaggi disseminati lungo la "Balbia" scorgiamo, di volta in volta, i frammenti di quel sogno piacentiniano e ne ricostruiamo, attraverso i detriti, i relitti e i veri e propri ruderi di quella moderna utopia italiana, i lineamenti familiari ed essenziali che ne fanno il prolungamento logico e materiale di un'idea di architettura a lungo coltivata sul tavolo da disegno delle generazioni più giovani e promettenti nelle Scuole di Architettura recentemente riformate. Dall'albergo di Cirene, ormai classico rudere moderno tra quelli più antichi, dove Alessandro Limongelli ci lascia il suo estremo, sofisticatissimo messaggio intellettuale, forse uno dei progetti più esemplari di un architetto straordinario e ancora tutto da reinterpretare, alle case di Tripoli e ai villaggi in Tripolitania e Cirenaica di Pellegrini, Di Fausto e Di Segni, le immagini scorrono e si ricompongono restituendoci il profilo di un composito panorama estesamente mediterraneo che ha la capacità di attingere insieme alla storia profonda dei luoghi e alla contemporaneità dei significati estetici.

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Giorgio Muratore
Roma, luglio 2001